Speciale Buscaroli / 3


Un autentico umanista dall’animo di un romano antico

Una delle tante storture – per non dire patologie – ideologiche del XX secolo, traghettatesi grossomodo sino al primo decennio del XXI (diciamo sino all’apice dell’esperienza politica berlusconiana) ha riguardato la diffusa tendenza ad attribuire la patente di “revisionista”, in senso spregiativo e con connotazione di malafede, nei confronti di chi mettesse in discussione certe nozioni riconducibili...

... in primis alla storia del Novecento, con particolare riferimento alla memoria del ventennio fascista e della guerra civile 1943-45: in tale ambito, revisionisti furono considerati, tra i tanti, storici come Renzo de Felice e François Furet (revisionisti e magari fascisti, binomio non di rado indissolubile agli occhi dei loro accusatori) ma anche giornalisti come Montanelli, Paolo Mieli (il quale si era formato alla scuola storiografica di De Felice e Rosario Romeo) o, più tardi, uno stimato cronista quale Giampaolo Pansa, allorché inizierà a pubblicare alcuni testi che metteranno in discussione, non per la prima volta ma forse per la prima volta all’attenzione del grande pubblico, la tradizionale immagine della Resistenza.

Dal canto suo Piero Buscaroli fu vituperato quale "revisionista" non soltanto in quanto esponente scomodo della cultura di destra, non soltanto quale deciso, viscerale anticomunista ostile alla repubblica nata dalla Resistenza (ostilità che rimarcò rifiutando l’Ordine al merito della Repubblica italiana), ma persino nella veste di storico della musica. Su ‘L’Indice’ del 21 dicembre 2005, il musicologo Fabrizio Della Seta, recensendo l’allora recente Beethoven dell’Imolese, esordì così: «Con questa biografia l’autore intende collocarsi nella corrente del revisionismo storiografico, estendendola dal campo politico a quello musicale». In realtà Buscaroli non intendeva affatto collocarsi in una qualche corrente, tantomeno del revisionismo storiografico, categoria esistente soprattutto nelle fantasie e nelle nevrosi di una cultura storica e politica che per l’appunto originava quantomeno all’epoca in cui Renzo de Felice scriveva i suoi primi volumi su Mussolini.

Con i nebulosi e pretestuosi argomenti del revisionismo e dell’appartenenza politica, di fatto si screditava Buscaroli quale studioso di musica. Durante un incontro bachiano tenutosi in tempi ancora recenti, si ritenne nuovamente di dover insistere sull’orientamento politico di Buscaroli, quindi sul fatto che in origine egli non provenisse da studi direttamente musicologici e che pertanto (a tali conclusioni conduceva l’atteggiamento di chi relazionava in quel momento, con sopracciglio sollevato e bisogna dire con un po’ troppa disinvoltura) e che pertanto, dicevamo, Buscaroli non poteva essere considerato affidabile sino in fondo; eppure in quella stessa circostanza nessuno pensò di mettere in dubbio le competenze di un altro studioso giustamente molto citato, Alberto Basso, nonostante anche questi testimoniasse un caso di formazione non direttamente musicologica. Fortunatamente l’autore di Frau Musika non rimase oggetto di tali insinuazioni tendenziose e persino di basso (si perdoni il gioco di parole) profilo. Al di là del conformismo di giudizio, episodi come quello appena ricordato mostrano come il non infrequente tentativo (o la tendenza, se si preferisce) di criticare Buscaroli sulla base di ragionamenti astratti e pretestuosi, slegati dal contenuto effettivo della sua produzione saggistica e critica, non abbia ancora esaurito la propria spinta.

Paolo Isotta, l’ex critico musicale del "Corriere della Sera" che con Buscaroli vantò rapporti di stima, lo definì un vero storico, più che "un musicologo professionista". E a ragion veduta: non perché Buscaroli fosse imperito in campo musicale (da giovane trovò in Ireneo Fuser un maestro per l’armonia, il contrappunto e l’organo, per cui era tutt’altro che digiuno di nozioni tecniche specifiche), ma in ragione del fatto che era prima di tutto un trasversale cultore del presente e del passato, uno studioso di enciclopedica cultura capace di analizzare e contestualizzare le fonti originali, in grado di interpretare fatti e processi in prospettiva e in profondità, attitudine che gli derivava anche dagli studi in storia del diritto col De Vergottini e che fu capace di trasferire nell’ambito degli studi musicologici. Le stesse buscaroliane biografie di Bach e Beethoven, che insieme agli scritti mozartiani restano le sue fatiche più note, debbono segnalarsi prima di tutto come l’opera di un grande storico che tuttavia non ignorava (pur senza costituire l’aspetto preminente) l’elemento analitico dell’armonia impiegata, del contrappunto, della forma.

È questo un aspetto importante nella produzione di Buscaroli, per la verità non solo per quanto concerne gli scritti musicali, unitamente a una non comune capacità di descrivere contesti e situazioni nel tempo, forse non con tanti paragoni nella letteratura storico-musicologica italiana ed estera: uno dei punti di forza degli scritti di Buscaroli consiste infatti, riteniamo, nel sentimento ostile nei confronti di quella tendenza, così novecentesca, per la settorializzazione del sapere, avendo egli compreso, sin da giovane età, che non può darsi specializzazione senza che questa sia sorretta da profondità e comunicazione tra ambiti distanti o apparentemente distanti, ben consapevole che, impoverita di un contesto sufficientemente ampio, la ricerca e anzi la gelosa rivendicazione di una settorializzazione estrema sovente non fosse che l’approdo sicuro per chi non fosse provvisto di una preparazione adeguata – cosa che, diciamolo, sempre più è; sicché entrare ad esempio nel mondo di Johann Sebastian Bach significava per Buscaroli addentrarsi nella sua vita e nella sua opera come nella società in cui agiva, nella sua economia, nella temperie culturale di quella porzione di Germania centrale e centro-orientale in cui l’autore delle Passioni e del Clavicembalo ben temperato visse e operò; significava esplorare il significato della Riforma luterana, di penetrare le condizioni sociali e psicologiche di un musicista di corte nella Germania del primo Settecento, eccetera. Buscaroli espresse in più occasioni concetti analoghi, ad esempio nella pagina introduttiva a La vista, l’udito, la memoria (Fògola 1987): «La vista, l’udito e la memoria [rispettivamente l’arte, la musica e la storia] sono per me talmente complementari, che ogni cosa che ho scritto o che scrivo si abbarbica alle altre, e a quelle s’intreccia con radici inestricabili».

L’attività saggistica seguiva o affiancava quella critica e giornalistica. Da giovane, Buscaroli partecipava all’esperienza del "Borghese" di Longanesi, scegliendosi per pseudonimo quello di Hans Sachs, il cinquecentesco Meistersinger di Norimberga che Wagner eternerà nell’opera Die Meistersinger von Nürnberg (I Maestri cantori di Norimberga). Approdato quindi al "Giornale", Montanelli gli impose lo pseudonimo di Piero Santerno, con l’incarico di occuparsi della rubrica chiamata la "Stanza della musica". Seguirà ben presto la consacrazione quale studioso per così dire "istituzionalizzato", a seguito della pubblicazione dell’omonimo volume nel 1976 che gli varrà la cattedra in conservatorio, al "Verdi" di Torino, al "Benedetto Marcello" di Venezia e al "Martini" di Bologna.

È a partire da questo momento che Buscaroli si dedicherà, senza per questo trascurare gli scritti politici, storici e sulle arti figurative, allo studio approfondito dei musicisti prediletti, Bach, Mozart (con particolare riferimento al Requiem e agli ultimi anni della vita del Salisburghese), Beethoven, Brahms, mostrando interesse anche per autori quali Berg, Berlioz o Musorgskij e senza contare alcuni compositori meno noti alla grande platea, tra cui Locatelli. Interessi vasti, non onnivori: invidiava Buscaroli «i fortunati che riescono ad amare tutto, a scovare la bellezza ovunque si riveli», ammettendo di non poter ascoltare «una pagina di Čajkovskij con la simpatia che sprigiona una sinfonia di Haydn. La mia stanza è abbastanza piccola, e la circondano anditi bui e corridoi sconosciuti». Da germanofilo incallito, i suoi interessi erano rivolti in buona parte alla tradizione austro-tedesca: ecco il definitivo approdo a Johann Sebastian Bach, un’immersione appassionatissima che lo porterà a pubblicare prima La nuova immagine di Bach (Rusconi 1982) poi, tre anni appresso, la monumentale biografia intitolata semplicemente Bach (Mondadori). La ponderosa biografia bachiana impegnò il suo autore per ben tredici anni, frutto di una continua e indefessa analisi sulle fonti originali in tedesco, di infaticabile, costante sforzo critico sulle carte, tanto da farne parlare a Ettore Paratore, indimenticato latinista teatino, come di un «punto fermo della bibliografia bachiana per l’instancabile, minuziosissima determinazione di ogni particolare biografico, modello stupefacente di diligenza, poderosa filologia…».

Ma il Bach di Buscaroli non a tutti piacque. E se non piacque fu anche perché, come non ci appare peregrino sospettare, in certi casi era il suo autore a non suscitare particolari simpatie. In un articolo apparso su La Stampa il 19 ottobre del 1985 Massimo Mila non risparmiò critiche, anche severe. Il musicologo-partigiano non amava Buscaroli, lo accusava di «fascismo intellettuale» e non si lasciava sfuggire occasione per rimbeccarlo, sino ad affermare che il suo libro bachiano altro non fosse che un «pamphlet di 1200 pagine». Al contrario, Isotta ne parlò come di una «opera importantissima», né d’altra parte si può tralasciare che Christoph Wolff, tra i maggiori specialisti della vita e dell’opera bachiana, ignorò completamente il libro. E tutto questo per non dire delle critiche al suo Beethoven (Rizzoli, 2004): tra le meno cortesi ci furono quelle di Giorgio Taboga, il quale definì il libro un «romanzo storico», arrivando a tacciare il suo autore di supponenza e ignoranza.

Dipinto come un reazionario, durante un’intervista al "Giornale" di qualche anno or sono Buscaroli dichiarò di sentirsi «un superstite della Repubblica sociale in territorio nemico»; ma nel campo della storiografia musicale è stato quasi un rivoluzionario, come dimostrò, tra l’altro, volendo rimanere sul terreno bachiano, opponendosi con forza alla vulgata del Bach tutto chiesa, perpetuamente folgorato dal richiamo della Trinità; irridendo coloro che sembravano intravedere Dio in ogni battuta, in ogni scala discendente, in ogni rapporto armonico; facendosi beffe di chi seguitava a descrivere il Thomaskantor come «il quinto evangelista».

Per tutta la sua vita adulta Buscaroli si oppose alla visione di Bach plasmata secondo quanto ne scrissero nel 1802 Johann Nikolaus Forkel, suo primo biografo, e Philipp Spitta più tardi (1873), senza dimenticare le stoccate indirizzate al lavoro di Alberto Basso, il quale a Bach ha sostanzialmente e dedicato la vita. Naturalmente non è possibile occuparci in questa sede in dettaglio di tutta la produzione di Buscaroli e del vespaio che in certi casi ne seguì; ne abbiamo ripercorso solo alcuni tra gli aspetti che ci sembrano salienti. Desideriamo però concludere, superfluo che sia, con un suggerimento per il lettore, affinché scopra, riscopra o approfondisca, in occasione del novantesimo anniversario della sua nascita, questo scrittore formidabile, questo ricercatore instancabile, autentico umanista dall’animo di un romano antico al quale la cultura italiana (e non solo; musicale, e non solo) deve molto, molto più di quanto, con caparbia, miope ostinazione, rifiuta di attribuirgli.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Piero Buscaroli (1930-2016): giornalista, scrittore, storico della musica
Marco Testa (Torino): cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, archivista, storico e critico musicale