Speciale Buscaroli / 2


"Credo che, come Prezzolini, si sentisse un italiano inutile”

Stenio Solinas – al Giornale dal 1994, prima responsabile delle pagine culturali e poi inviato, scrittore (imperdibile il suo recente Atlante ideologico-sentimentale, 920 pagine, GOG editore, mappa di una vita trascorsa a leggere, scrivere e viaggiare in modalità non turistica) – è uno dei migliori intellettuali italiani con cui poter parlare di Piero Buscaroli.

Stenio, dove lo hai incontrato per la prima volta? Al Giornale, a cui Buscaroli collaborò a lungo, nei primi anni con lo pseudonimo Piero Santerno, poiché il suo nome era troppo “forte” per il pubblico del quotidiano milanese?

«No, non al Giornale, ma molto prima, agli incontri romani della Fondazione Volpe e poi ai seminari della stessa a Milano Marittima, con annessa serata finale al castello di Monteleone di cui Giovanni Volpe, il figlio dello storico Gioacchino Volpe, era proprietario e anfitrione, nonché vicino di casa dello stesso Buscaroli. E suo primo editore con il volume Figure & figuri del 1979».

Di quali anni stiamo parlando?

«Fu intorno alla metà dei Settanta, anche se io lo leggevo già dai Sessanta, sul Borghese e sul Roma, di cui Buscaroli fu direttore proprio all’inizio di quel decennio. Permettimi una precisazione: lo pseudonimo di Piero Santerno, con cui nel 1974 cominciò la sua collaborazione al Giornale, era il frutto della censura preventiva del cosiddetto comitato “liberale” dei garanti del quotidiano e della coda di paglia dello stesso Montanelli, che si barcamenava fra un pubblico molto più a destra della sua linea politica, e le accuse di “fascista” che ciononostante continuavano a piovergli sulla testa. Gli anni Settanta sono stati così, miserabili per odio ideologico e per vigliaccheria benpensante».

«I suoi libri sono quelli di un giornalista che era innanzitutto e soprattutto uno scrittore»: riprendo le tue parole e ti pongo una domanda forse troppo fantasiosa: che tipo di lettore, se esiste, può oggi apprezzare gli scritti di Buscaroli? Intendo esteticamente e intellettualmente, ma anche politicamente. In altre parole, come te lo immagini un lettore odierno di Buscaroli?

«Buscaroli mi ha insegnato a intelaiare i reportage, il giusto uso e peso delle citazioni, l’inquadratura storica, una certa sprezzatura, il registro stilistico a seconda dell’argomento trattato... Era in questo un erede della stagione migliore del giornalismo di scrittura italiano, fra il primo Novecento “vociano” e poi fra le due guerre, quello che va da Missiroli a Prezzolini passando per Malaparte, Longanesi e Cecchi, Montanelli e Buzzati e poi Lilli, Piovene, Vittorio G. Rossi… Quel mondo e quell’insegnamento oggi non esistono più e basta la lettura di un qualsiasi quotidiano per rendersene conto. Tutto questo per dirti che non ho idea di chi oggi possa essere un “suo” lettore... Probabilmente un esule dalla modernità, uno scampato dal conformismo del progresso e del politicamente corretto, uno che si ostina a credere non che la storia abbia un senso, ma che faccia parte della nostra identità di italiani e di europei, e che aiuti a delineare un’idea di civiltà. Questo naturalmente non ne fa uno scrittore da grande pubblico, ma, come diceva Chardonne, “si scrive per l’onore. Mille lettori è onorevole e sufficiente. Di più si può dubitare di sé stessi”».

Adesso c’è una domanda un po’ strutturata.

«Sono pronto».

Buscaroli era in lotta con un Paese che non amava e da cui non era amato. Di fatto, in un’intervista a Stefano Lorenzetto, ha riferito di aver detto una volta a Mario Missiroli parole pesanti sull'Italia: «Questa fogna non la salva nessuno, e poi non ne vale la pena, sull’Italia io ci cago. È questo che mi ha sempre unito a Prezzolini: l’odio e il disprezzo per gli italiani» (per non parlare di un altro passaggio, in risposta diretta a Lorenzetto: «Il popolo italiano non è degno di sopravvivere. La sconfitta della dittatura ha portato alla guerra permanente e alla tirannia del denaro che sta facendo morire la civiltà»). Oggi non troveresti nessuno a destra capace, anche solo per provocazione, di simili dichiarazioni pubbliche. I sovranisti, i nazionalisti, etc. sono sempre molto... accorti... nell’apprezzare l’Italia così com’è. Che ne pensi del rapporto di Piero con la «patria»?

«È sempre difficile dare valutazioni su temi del genere, dove le biografie individuali contano più di qualsiasi analisi razionale. Detto questo, Buscaroli ha dato al suo Paese molto di più di quello che ha ricevuto. Si è vista stroncata una carriera di giornalista politico che aveva quarant’anni, ha dovuto faticare per imporsi come critico musicale, e non glielo hanno mai perdonato, si è dovuto “inventare” una casa editrice, Fògola, per stamparsi i suoi libri... Come tutti gli esseri umani, alternava momenti di esaltazione a momenti di sconforto, la “cara e porca Italia” di cui parla già Machiavelli… Negli anni Novanta si lasciò persino tentare da una candidatura elettorale, da me peraltro vivamente sconsigliata, eppure aveva forse più senso quel suo voler comunque esserci che non il mio pessimismo viscerale. Credo che, come Prezzolini, si sentisse “un italiano inutile” , l’eterna minoranza ghibellina dei sognatori, destinata a essere sconfitta dalla maggioranza guelfa timorosa di ogni “colpo di testa”, ma anche l’unica in grado di esibire una spina dorsale nel momento del bisogno».

Buscaroli scrisse migliaia di pagine: pur non avendo «orecchio» io ho letto persino i suoi enormi libri su Bach e Beethoven per il solo piacere della prosa e del ragionamento logico e filologico. Ti invito a isolare un suo libro, un titolo che per te ha un valore peculiare quando si parla di Buscaroli (per me, che amo l’Europa centro-orientale, è Paesaggio con rovine).

«I luoghi e il tempo. Perché è un impasto incantato di vagabondaggi e scoperte, riflessioni e manie, passioni, anche futili, e colpi d’ala ideologici e sentimentali».

E chiudiamo: di quanto Buscaroli ci sarebbe bisogno oggi nelle redazioni dei giornali e quanto Buscaroli esse potrebbero tollerare?

«In parte credo di averti già risposto con il “mondo scomparso” a cui ho accennato parlando del giornalismo da lui praticato, erede di una tradizione che non esiste più. Quando però uscì Il Foglio (nel gennaio del 1996, ndr) mi disse che era il tipo di giornale che gli sarebbe piaciuto dirigere: “...senza foto, senza strilli, senza scoop e... soprattutto senza notizie... Però lo scriverei tutto io, dalla prima all’ultima riga”».

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Piero Buscaroli (1930-2016): giornalista, scrittore, storico della musica
Marco Testa (Torino): cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, archivista, storico e critico musicale