Fuori sacco


Intervista a Panorama

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Da pochi giorni Riccardo Ruggeri ha lanciato il suo settimanale online. Un pensatoio «con una linea editoriale giocoforza speziata» come lo definisce l'ex manager Fiat. Che risponde così alla crisi dell’editoria tradizionale.
(Giorgio Gandola)

Intervista a Panorama

«Scriveremo cose “pesanti” con la leggerezza di Calvino». Riccardo Ruggeri è un giovane liceale di 84 anni che adora le piante base dell'evoluzione vegetale.
Quando aveva 17 anni (praticamente l'altroieri) fondò con due compagni a Torino il giornalino studentesco Il Carciofo con sottotitolo da Ernesto Calindri: «Contro il logorio della scuola moderna». Adesso ha inventato Zafferano, un sito online da pochi giorni, un pensatoio «con una linea editoriale giocoforza speziata». E con tre caratteristiche popolari: è in abbonamento gratuito, non accetta pubblicità e finanziamenti, si impegna a non vendere i dati degli abbonati. L'uomo è geniale, manager di successo: un anno fa, colpito da un grave tumore, lo ha derubricato a «bad company» e ci ha scritto un libro. Il suo Cameo (pubblicato su La Verità) è un appuntamento imperdibile per comprendere l'orizzonte politico, la crisi delle élites, il dominio sterile del Ceo capitalism, il declino della sinistra radical chic. Questo Marchionne degli anni Novanta capace di risollevare aziende decotte, che quotò New Holland a Wall Street con un valore 32 volte superiore a quello di partenza (da 100 milioni a 3 miliardi di dollari), è pronto per una sfida folle e controcorrente. «Quello dei media è un mondo in gravissima crisi, mi interessa studiare come ne possa uscire. Se il paywall non fosse risolutivo, resterebbe solo il cambio di paradigma. Il Protocollo Zafferano è un contributo».
Riccardo Ruggeri, perché con tutti i nomi della Treccani ha scelto Zafferano?
Perché lo zafferano ha tre caratteristiche simboliche: lo devi cogliere a mano facendo fatica, nasce nel Medio Oriente dov'è nata la civiltà e si raccoglie in autunno, l'autunno dell'Occidente. Anche l'autunno dei media dentro la crisi epocale dell'editoria. Del resto, se il presidente degli Stati Uniti ti sveglia con un tweet alle sei di mattina e detta nuove regole di comunicazione, il gioco non può più essere lo stesso.
In che senso?
L'intermediazione giornalistica diventa sempre più faticosa, bisogna approfondire. Ma per farlo, come mi disse nel 1982 Hunter Thompson, il geniale inventore del Gonzo journalism, devi commentare attraverso la tua esperienza, mettere nell'articolo pezzi della tua vita. Se ne hai avuta una, variegata, sei avvantaggiato.
Nel mondo digitale, fra siti che nascono, galleggiano e muoiono ogni giorno, cos'è Zafferano?
È una piccola astronave dove equipaggio e passeggeri si mischiano, un laboratorio intellettualmente rivolu-zionario, un modello economicamente non replicabile. Sono conscio che non puoi avere un'azienda con ricavi zero e costi zero.
Come fa a sopravvivere?
Facile, appunto tenendo ricavi e costi zero, e con l'investimento sulla piattaforma pagato dall'editore Grantori no, cioè io, non interessato al ritorno sull'investimento. Noi viviamo di emozioni e di motivazioni, pesando il successo solo con il numero degli abbonamenti. Non abbiamo il palazzo, le strutture, la redazione, il direttore. Chi scrive campa d'altro, a Zafferano regala tempo, intelligenza, entusiasmo.
Ci presenti la squadra.
Ci sono personaggi come il celebre politologo Angelo Codevilla, docente di diritto internazionale, che dalla California racconta spicchi d'America; Roberto Dolci, imprenditore del digitale a Boston ci parla delle aberrazioni del Ceo capitalism; Renato Zangrandi, lobbista di Bruxelles, ci racconta il magico mondo delle Commissioni europee visto dall'interno; una maestra d'asilo le avventure a scuola di bimbi dai due ai cinque anni; un diciassettenne ci regala i suoi sogni. Poi recensioni di libri, di ristoranti.
Tutti recensiscono ristoranti.
Su Zafferano però sarà il proprietario a farlo, ribaltando il concetto dell'oste che parla del suo vino: se dice frottole corre rischi altissimi, la rete è implacabile. Ma non deve sottostare al business delle recensioni pelose.
Ruggeri, cos'è il «Ceo capitalism» che lei tanto aborre?
È una forma degenerata di capitalismo (che invece è una cosa seria) dove le persone, i cittadini vengono sostituiti dai consumatori e gli imprenditori dai supermanager, i Ceo appunto. I cittadini perdono progressivamente la possibilità di crescita sociale ed economica, tendono allo zombie. Nessuno si accorge del trucco perché i Ceo sono connessi o collusi con la politica che nomina gli organi di controllo e con la stampa che li supporta. È un sistema dove si parla molto, si produce poco e comandano i soliti noti.
Chi sarebbero oltre ai politici?
Ai supermanager corrispondono i supercuochi, i supercompetenti, i supergiornalisti, cioè una società povera di novità, tragicamente imprecisa, irresponsabile in termine di doveri, presuntuosa e pretenziosa nei propri diritti divini.
Com'è diventato un supermanager, un Ceo?
Fino a 40 anni sono stato un operaio, un travet della Fiat. Facevo lavori idioti che svolgevo in fretta, per cui passavo la giornata studiando sociologia e modelli organizzativi (erano gli anni Sessanta). In modo casuale la mia diversità fu scoperta dai vertici Fiat e apprezzata. Feci una carriera fulminante, l'ascensore sociale mi portò direttamente dal piano terra al superattico.
Lei addita Facebook e Google come esempi negativi.
Il loro business si basa sull'inganno. Ti fanno credere di regalarti servizi e intanto si impossessano dei tuoi dati, che sul mercato pubblicitario valgono molto più dei servizi offerti. Furbetti d'accatto, il cui eccesso di successo li ha ridotti a sociopatici.
Un’altra sua battaglia è contro le fake truth, le false verità. Cosa sono?
Le faccio un esempio, i migranti. Le anime belle immaginano solo la scena in cui ci sono dei barconi in mezzo al mare e sopra persone che potrebbero affogare. È chiaro che vanno salvate. Raccontata così senza chiedersi perché e come sono arrivati lì, davanti a Malta o a Lampedusa, è una fake truth. A noi di Zafferano interessa sapere tutta la verità, cioè chiederci perché sono lì e scoprire le illegalità compiute da loro e dai mercanti di uomini.
Ottimista o pessimista per il futuro?
Ero molto pessimista, ma dopo la Brexit ho cambiato idea. Ci salverà il popolo, che ha capito che le élites - delle quali faccio orgogliosamente parte anch'io - lo stavano fregando. Abbiamo un governo in parte di sciagurati, eppure ha il 60 per cento di consenso non perché se lo meriti, ma perché il popolo non vuole più vedere quelli che ci hanno governato dal 2011 in avanti. C'è una bella immagine di un mio amico.
La condivida con noi.
È un banchiere ed economista svizzero. Sostiene che i gilet gialli è meglio averli al potere come in Italia che nelle strade come in Francia.
E il mondo dei media che destino avrà?
Negativo se i grandi giornali continueranno ad avere tutti la stessa linea editoriale, appiattita sulla vecchia politica. Oggi se vuoi sentire una voce dissonante dal mainstream devi leggere La Verità, Italia Oggi, il Fatto Quotidiano. E a sinistra, purtroppo, c'è il deserto. Zafferano è uscito da poco e il giudizio prevalente è questo: finalmente un'oasi di pace. La parola più spinta che useremo sarà «birbanti».
Come usciremo da questa nuova recessione?
Premesso che secondo me durerà lustri, le posso dire come non ne usciremo. Non ne usciremo se rimarranno le leadership che l'hanno creata con il loro modello, le stesse che hanno cercato in questo decennio di superarla, mentre il buonsenso vorrebbe che chi sbaglia paga e se ne va immediatamente.
Tutti incollati alle poltrone all’infinito.
L'unico che se n'è andato è stato David Cameron: ha perso ed è scomparso. E oggi non va alla Bbc a ripetere storie improbabili e proporre formu lette fruste, perdenti come i nostri sconfitti. Saranno i giovani a trovare la quadra perché saranno loro a vivere in questo mondo. A noi di Zafferano piacerebbe aiutarli e raccontarlo. ■
(Giorgio Gandola)

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