Supplemento


Spremuta di Camei

SE DIVENTI OBESO MAI SARAI UN UOMO LIBERO

Sono un lettore disordinato, leggo ciò che mi capita, però ho fornitori di qualità che conoscono questa mia nevrosi, e ben mi approvvigionano. Un amico mi ha inviato l’ultimo rapporto FAO, l’Ente ONU che si occupa di agricoltura ed alimentazione. L’ho letto, e di colpo mi sono ricordato un episodio lontano, di circa trent’anni fa. Come Ceo della seconda più importante azienda al mondo di macchine agricole e del movimento terra ero stato invitato, con paillettes e cotillons, a Roma (la sede centrale) per una riunione sulla fame e sulla sete in Africa. Confesso che verso questi enti, privati o pubblici poco importa, che si occupano di povertà, da buon apòta, sono sempre stato occhiuto: l’unico modello di riferimento per me è il mitico Cottolengo di Torino. Verso gli altri ho il sospetto che spendano gran parte del budget in spese di funzionamento della struttura, cioè per loro.

Finita la presentazione sulla fame e sulla sete tutti a pranzo alla “mensa comune” (come sottolineò con sussiego il boss). Mi attendevo insalate e verdure bollite e un riso all’inglese, arrivarono invece un’aragosta del Maine, poi un filetto alto tre dita, uno sfarfallio di crudités, infine un dessert, dove panna e cioccolato la facevano da padroni. I vini, un bianco renano e un rosso italiano, erano all’altezza. Era il classico menu pesce-carne dei ricchi anni 80, servito nel luogo sbagliato.

Torniamo all’ultimo rapporto FAO. Pagine e pagine di chiacchere, poi il dato di sintesi: 820 milioni di persone soffrono ancora la fame (non sono però contati quelli occidentali entrati nella povertà per permettere a quelli afro-asiatici di uscirne). E poi, detto con nonchalance, oltre 1 miliardo di persone risultano in sovrappeso. Nessun stupore per chi studia il Ceo capitalism. Se questo sarà il modello dominante in Occidente, come lo sta diventando nella Cina nazi-comunista di Xi Jinping, cioè quello che trasforma l’uomo sapiens in un “consumatore”, la fame, intesa secondo i parametri FAO, verrà azzerata e di contro gli zombie saranno l’80-90% dell’umanità, tutti rigorosamente obesi. Se sei costretto a cibarti con pastoni a base della triade “grassi-zuccheri-sale”, non potrai mai diventare un gilet giallo o un giovane con l’ombrello. Resterai uno zombie, e passerai il tempo a consumare prodotti digitali (commestibili e no), affinché l’1%, magro e scattante, possa essere in una forma tale da ambire a diventare immortale e il 10% gli faccia da corte e da coorte.

Un consiglio ai giovani Millenial e Gen.Z. Per approfondire questo tema, per voi strategico, visto che dovrete viverci in quel mondo, studiate il quadro visionario di Pieter Bruegel il VecchioLotta tra Carnevale e Quaresima” esposto a Vienna. Il Carnevale rappresenta il Luteranesimo mentre la Quaresima il Cattolicesimo, la lotta perenne fra vacche grasse e vacche troppo magre. Il Carnevale si identifica con un signore molto corpulento, è a cavallo di una botte, regge uno spiedo dove ha infilzato una testa di maiale e un pollo. Invece la Quaresima è una donna bislunga, emaciata, con una pala, due smunte aringhe, un’arnia sulla testa (il miele è cibo quaresimale), una croce di cenere sulla fronte.

Riporta un concetto caro a Bruegel: la vita è ciclica, alterna follia e ragione, povertà e ricchezza, abbondanza e penuria, disordine e ordine. Per questo motivo, Bruegel dispone la folla, non in modo casuale, ma circolare: chi oggi ride domani piangerà, chi oggi gioca domani lavorerà, chi oggi fa bagordi domani farà penitenza. Per le classi dominanti del Ceo capitalism è proprio questa “circolarità” che vogliono abbattere ad ogni costo (via la famiglia, via il merito, via l’ascensore sociale), e il primo atto è avere un unico modello economico, politico, culturale, gestito da una casta sacerdotale di nomina regia. Ragazzi, andate avanti nel ragionamento per conto vostro, respingete meme e tweet della casta sacerdotale e diventerete uomini liberi, l’unica modalità per cui la vita merita di essere vissuta.

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SCALARE IL NOSTRO MONT VENTOUX E’ SOFFERENZA, MA E’ VITA

Se sei stato un grande viaggiatore, curioso di tutto e su tutti, e poi, un giorno, per motivi naturali, non puoi più esserlo (ohibò, sembra proprio il mio caso), ti restano tanti ricordi, tanti straccetti di vita vissuta. A quel punto, tutto dipende da te. Se i ricordi ti sorreggono puoi trasformare gli straccetti in una tela, in un nuovo racconto. A volte, il viaggio equivale a tornare dove già eri stato, e raccontare, con parole diverse, il vecchio come un nuovo viaggio, anche se tu non ti sei mosso.

D’improvviso è ricomparso nella mia memoria il 13 luglio 2000, quando Lance Amstrong e Marco Pantani si incontrarono sul Mont Ventoux e avvenne il miracolo: il birbante fu sconfitto, per una volta, il bene prevalse sul male. Molti anni prima avevo scoperto questo luogo lunare, per me magico, perché era poco distante da dove era nato mio papà, quando mio nonno e mia nonna erano migranti in Francia. Nella piccola cittadina di Apt, mia moglie ed io, nell’unica locanda, trascorremmo la nostra prima notte di nozze. Era il 1961, ci eravamo sposati alle 7 del mattino a Torino, ora antelucana per un matrimonio religioso, perché dopo c’erano funerali importanti. Fu immediata la partenza con una Fiat 600 per la Provenza, ci arrivammo all’ora di cena. Fin da piccolo al mito del Toro avevo aggiunto quello di Fausto Coppi. Noi della classe operaia ci identificavamo in lui, mentre le élite tifavano per Gino Bartali.

Francesco Petrarca affrontò il Mont Ventoux (il “Monte Calvo”) insieme al fratello Gherardo nel 1336, quando era nel pieno di una crisi spirituale tale da rendergli la scalata particolarmente difficile, malgrado avesse due sherpa di supporto. La lettera in cui racconta questo episodio, a detta degli storici, rappresenta il discrimine fra Medioevo e Umanesimo. La scalata del Mont Ventoux l’ho fatta una volta sola (come sherpa avevo un’auto Fiat), ma mi ha segnato: non è solo una salita, ma un vero spartiacque fra passato e futuro. Il punto di partenza è un delizioso paesino provenzale di pietra e di viti di vini pregiati, Bédon, a 300 metri di altitudine. In 22,7 km si copre un dislivello di 1616 metri (come succede per la mitica parete nord dell’Eiger), con una pendenza media del 7%. Se hai certe sensibilità puoi considerarlo un percorso di vita, ci sono, in successione, tre tratti, la giovinezza spensierata, la serena maturità, l’imbarazzante vecchiaia.

Nel primo tratto, circa 5 km, la strada sale, poche difficoltà, la pendenza è del 5% e così arrivi al famoso “Virage di Saint Estéve”. Lì comincia il secondo tratto, è un tornante secco ove la pendenza raddoppia di colpo. Da quel momento, resta fissa al 10% e dura per una decina di chilometri, ma il contesto è bellissimo, sei immerso in una foresta di larici e di cedri, l’aria è purissima e profumata. In lontananza vedi Chalet-Reynard, il punto di ristoro. Qua finisce il mondo civile, finisce la terra. Sei nel terzo tratto, il paesaggio si fa lunare con spicchi marziani, ti senti solo, nessuno può aiutarti, non puoi tornare indietro, devi andare avanti, fino alla cima, incontro al tuo destino. La pendenza ora è al 7-8% ma il mistral da un lato e il sole a palla dall’altro, ti tolgono il fiato, ti tagliano le gambe, ti cuociono il cervello, ti coprono la vista, ti sferzano l’anima. A due km dal traguardo (il vento è talmente forte che ha abbattuto l’arco dell’arrivo) vedi la stele che ricorda Tom Simpson, ed è un’altra mazzata psicologica. Come fosse un film ti passano davanti agli occhi tutti i miti del ciclismo che il Mont Ventoux ha creato, dal principe Charly Gaul, a Fausto Coppi, a Gino Bartali, alla crisi di Ferdi Kubler, alla resurrezione di Bernard Thévenet, al malore di Eddy Mercks, alla vittoria mito del Pirata. Con la sua morte, il mio amore giovanile per il ciclismo si spense di colpo.

Roland Barthes ha inquadrato cos’è per l’uomo il Mont Ventoux: “Un Dio del male al quale dedicare sacrifici”. Ma se hai la fortuna di arrivare in cima e sopravvivere sei felice. Con questo Cameo sono tornato lassù, ho ritrovato un mondo di sassi senza fine, simbolo e antitesi della Provenza che fu di mio Papà. Sono felice di calpestare i sassi del Mont Ventoux. Il mistral che mi sferza senza pietà mi conferma che sono vivo.

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