LA Caverna


Politica, dovere, speranza

“Ho sentito la vita politica come un dovere e il dovere dice speranza” (Luigi Sturzo)

Di fronte alla grave situazione di crisi morale a diversi livelli, dovuta ad una "decomposizione etica" provocata "dall’abbandono dei valori" è necessario oggi inventare opportune strategie che permettano a giovani di buona volontà, entusiasti di loro natura ma vittime di un nichilismo diffuso, di fare un sincero esame di coscienza per agire nei diversi ambiti della vita pubblica rispettando verità e trasparenza. C’è un diffuso concetto negativo della politica, ritenuta corruzione, carrierismo, imposizione, manipolazione o utopia.

Per affrontare con fermezza il degrado politico e amministrativo, i giovani hanno bisogno di acquisire ideali, proprio quando sembrano negarli, e di incontrare onesti testimoni impegnati a cercare e trovare, con competenza e rigore morale, soluzioni di sviluppo mondiale sostenibile. Solo la formazione di un adeguato bagaglio culturale (sociale, storico, economico,...) aiuta lo sviluppo di una sensibilità verso principi e valori condivisi, fa vedere e comprendere quei fini che stanno al di là dell'io-singolo e dell'attimo-adesso. Non conosciamo l'iter formativo di chi mette piede in politica ma certamente non si definisce nell'attesa paziente di occupare una sedia. Eppure, la disinvoltura con cui si gestiscono i settori della vita pubblica lascia sgomenti e suscita il sospetto o la convinzione che si agisca per altri interessi. I giovani non sono per nulla contenti dell’attuale congiuntura socio-politica, ritenuta insopportabile; non sono invogliati a partecipare da questo tipo di politica proprio perché deteriorata, guastata da complicati meccanismi di ragioni di Stato, carente di progettualità per una storia in cui loro - i giovani - possano essere novità.

La politica ha perso progressivamente quell’aura che, per tanti anni, ne fece il metro di tutte le attività. È subentrata la sfiducia nei veicoli tradizionali di organizzazione delle idee politiche ed è maturata la preferenza per movimenti non rigidamente organizzati come i partiti e più concreti nel numero di obiettivi prefissi. Vi è in loro, magari confusa, l’idea di un necessario superamento di politiche formali fine a se stesse, dominate unicamente dall’economico. Hanno il desiderio e l’anelito di conoscersi, incontrarsi, aiutarsi - fattori che lo Stato non può ignorare se vuole preparare un futuro adeguato - ma sono realisti, poco portati ad assolutizzare ideologie, dubbiosi davanti alle tante parole vuote. C’è uno spostamento di livello di partecipazione, l’affiorare di una nuova concezione di politica meno istituzionalizzata, più concreta e aderente ai problemi immediati della vita. La disaffezione per “la cosa pubblica” è la conferma dell’orientamento generale verso una privatizzazione di tutti gli aspetti della vita.

Di conseguenza, gli obiettivi perseguiti per migliorare la qualità del vivere sono centrati alternativamente su esperienze di autorealizzazione e su relazioni personali esclusive, molto meno su rapporti sociali pubblici. Una generazione nuova dovrebbe definirsi non tanto e non soprattutto per le dimensioni dell’appartenenza movimentista o della privacy, ma per una lungimirante conoscenza delle problematiche politico-sociali e una volontà decisa di risolverle.

Una questione impellente è quella relativa ai nessi e confini tra la dimensione del “sociale” e la dimensione “politico-economica”. Il ricupero della cultura della solidarietà deve diventare il fine fondamentale di una nuova politica delle istituzioni. Esperienze impegnate da tempo nella costruzione di un sistema socio-economico differente da quello egemone hanno tentato di trovare nuove convergenze, alleanze ed equilibri tra il sociale e l’economico, favorendo una nuova coscienza politica.

L’Economia Sociale e Solidale, realtà molto eterogenea al proprio interno e con grandi differenze da paese a paese, ha due caratteristiche importanti: una gestione democratica e una coscienza sociale. La pandemia e le tragiche alluvioni passate hanno suscitato inattese forze solidaristiche. È un forte agente di rinnovamento rafforzare e rivitalizzare una cultura e una pratica segnate dall’interesse generale e dalla solidarietà,. “Fare cultura della solidarietà” significa mettersi in gioco in prima persona, accantonando la logica dell’io-tu tipica delle politiche assistenziali, vuol dire ideare strumenti teorici e pratici necessari all’edificazione di una società in cui gli individui si riconoscono parte organica di un tutto dotato di senso.

I giovani sono convinti che un cambiamento di vita avvenga più che attraverso riforme di struttura attraverso riforme culturali. Il futuro appare a disposizione soprattutto come oggetto di impegno, fondato non su utopie ma su analisi statistiche e progetti. La politica è il vissuto, non si identifica con l’appartenenza a un partito; è programma, con forti venature volontaristiche, de-istituzionalizzato. Cauti nei confronti di proposte partecipative e decisionali, i giovani sono più disponibili nei confronti di movimenti "panumani", quelli che invocano la pace, i diritti dell’uomo, la salvaguardia dell’ambiente. Prevale l’idea di una politica disciolta nel sociale e perde di possibilità “l’istituzione”. Sono inclini ad un pragmatismo deideologizzato, non privo di equivoci e pericolosità, contrassegnato da un’esigente libertà di ricerca, da una disponibilità ad aiutarsi, dal recupero di quella “politica concreta” che oggi ha sedi diverse da quelle ufficiali.


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