LA Caverna


La città presente e la città sognata

L’uomo sembra amare intensamente la vita. Di fatto per il dispendio che ne fa e per il disprezzo che ne ha, provoca la domanda se ha ragioni convincenti per credere e per sperare. Nell’oceano meraviglioso ma incerto e a volte caotico che è il ciclo vitale, spesso, manca l’amore per uno sviluppo personale, come opportunità per la propria “rivoluzione umana”.

Sicurezze illusorie, che appagano al momento, lasciano a mani vuote e, ripiombato in quella crisi da cui vorrebbe uscire, l’uomo si aggrappa alle “cose” convinto di trovare in esse rassicurazione e conforto. Molti non cercano più, pochi si interrogano, lanciando l’attesa "fuori" di loro. Si vive nel grigiore drammatico di una città in cui difficilmente si scorge “il positivo”. Regnano sovrani il conflitto e il vuoto. “Le cose” ci sommergono di risposte sicure e prepotenti, sono sufficienti per dirci chi siamo e per misurare la nostra importanza. La distinzione tra prodotti funzionali e significati esistenziali non regge più perché “le cose” hanno invaso anche l'ambito del senso dell'esistenza.

Disincantati ed evasivi, presuntuosi e saccenti, siamo, invece, inavvertitamente vulnerabili, sotto la continua minaccia della disperazione. Le nostre speranze sono per lo più volubili, effimere: manca loro la difficile perseveranza che spinge avanti la vita sociale. Ma la storia ci mette di fronte a prove impegnative, a emergenze che non risparmiano nessuno. Il domani incerto e le difficoltà della vita quotidiana possono essere superate solo nell'impegno e nella solidarietà. Chi nutre speranza non si ferma, combatte per un mondo migliore, veicola notizie positive, non distrugge la propria e altrui dignità. Solo uomini che nutrono speranza amano realmente la vita e godono la “felicità” dello stare insieme. In una coscienza spezzata da gesti che si sottraggono alla logica individualistica nasce la percezione sofferta di una doppia appartenenza: sentirsi cittadino di un mondo da rendere sempre più umano e un disorientato residente in una città “che ci fa tanto feroci”.

Le due città, quella che sogniamo e cerchiamo e quella in cui, di fatto, viviamo, sono incompatibili e dissociate. Nell’intricato labirinto del nostro operare, solo se abbandoniamo le illusioni, troviamo il sentiero per accedere alla città sperata, il coraggio per affrontare provocazioni, sfide e motivi per progettare, organizzare e costruire. Il “buon cristiano e l’onesto cittadino” riconosce che la vita è una realtà dal volto bifronte: può essere letta e interpretata attraverso le categorie della cultura e delle competenze e si può anche falsificare; o, invece, si sprofonda in un arcano mistero del quale Gesù ci ha squarciato qualche frammento, senza però darci parole e strumenti capaci di spiegare il tutto. C’è una folla scialba e banale, residente nel paese dei balocchi, molti prigionieri ed esiliati in angosciose lande senza luce di futuro, pochi uomini di buona volontà che, da un’intensa esperienza spirituale, sono resi capaci di «traforare» il visibile per toccare le soglie del mistero.

La contemplazione dell'avventura della vita dalla parte del mistero origina un’intuizione: quella di riconoscere che le nostre vite sono intrecciate e sostenute da tante persone ordinarie che hanno scritto e scrivono gli avvenimenti decisivi della storia. Non siamo un mero aggregato di singoli ma un’unità sociale. La comunità mondiale naviga sulla stessa barca, nessuno si salva da solo, ma unicamente insieme. (papa Francesco, Fratelli tutti) L’identità personale è connessa e si regge sugli altri, reclama un’effettiva vicinanza e prossimità con tutti. Attraverso buoni rapporti, stili di comunicazione, modalità di agire, progressivamente, impariamo l’arte di “ricollegarci” per rafforzare, in una società tecnologicamente evoluta, il livello ancora debole dell’alfabetizzazione relazionale.

“Non si può sperare di avere una comprensione adeguata della condizione umana senza un impegno congiunto”. (Margaret Gilbert) Solo quando, insieme, arriveremo a decifrare il visibile in tutta la sua densa ricchezza riusciremo a cogliere e a farci possedere intensamente dal mistero. La speranza che ci salva è, infatti, radicata oltre i confini della competenza e della potenza, in quella fede che ci riconsegna alla verità del visibile attraverso il mistero che esso si porta dentro. «L’invisibile è il rilievo e la profondità del visibile». (Maurice Merleau-Ponti)

Siamo e agiamo nella verità, solo quando riusciamo a vivere «come se vedessimo l'invisibile» (Lettera agli Ebrei 11, 1).

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro