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Pensioni americane

Tradizionalmente gli americani andavano in pensione verso i 65 anni, avendo versato contributi sia al fondo federale sia al privato, con un’aspettativa media di vita di altri dieci anni: questo consentiva ai più di passare bene gli ultimi tempi su questa terra. La tradizione oggi va rivista: quando una coppia arriva a 65 anni, almeno uno dei due prosegue fino a 90, e deve quindi avere messo molto più fieno in cascina che in passato se non vuol finire mendicante.

Le stime più recenti ci dicono che in pochi anni il 21% dei 65.enni dovrà continuare a lavorare e che negli ultimi vent’anni è già raddoppiato il numero di nonnetti lavoratori: abbiamo passato gli undici milioni. In parte questa tendenza è dovuta al cambiamento del lavoro a stelle e strisce: sono diminuiti i mestieri usuranti a favore di quelli impiegatizi e nei servizi, mentre la sanità è diventata sia costosissima sia efficace, cronicizzando molte patologie. Moltissimi anziani sono costretti a lavorare dopo aver dato fondo ai risparmi per curarsi, ed anche perché con quella malattia oggi si convive a lungo. Se spendi $1 milione per curarti dal tumore hai il 70% di probabilità di vivere ancora cinque anni, ed il 50% di viverne dieci; dovrai ben ripagare il debito e comprarti medicinali costosi, non puoi andare in pensione.

Un altro fattore risiede nel meccanismo dei fondi pensionistici privati: mentre quello federale è progettato per pagarti dai 65, gli altri sono degli investimenti redditizi, e molti preferiscono lavorare ancora qualche annetto prima di intaccarli. Così facendo, molti schiattano sui settant’anni e lasciano un patrimonio agli eredi, contenti loro. Mio nonno credeva nell’arrivare all’ultimo giorno in terra senza crediti, debiti, rimpianti e rimorsi: una filosofia semplicissima ed a mio parere corretta ancora oggi. Da ultimo, tra i fattori che spingono a questa trasformazione, l’aumento dei laureati e del debito studentesco. Amici medici han finito di saldarlo a 44 anni, ed era già ora di risparmiare per l’università dei figli. Chiaro che anche uno specialista finisca per lavorare fino alla soglia degli ottanta per non andar sul lastrico.

In tutto questo, qualcosa che sfugge ai più è la crescita del carico cognitivo e dello stress derivante dal bombardamento di stimoli informativi, sempre più massiccio. Per svago o per lavoro riceviamo messaggi sedici ore al giorno: dobbiamo vedere, capire, eventualmente rispondere e decidere, di continuo. Il lavoro da remoto non aiuta: vero che si risparmia sul traffico ma l’efficacia della comunicazione elettronica è ben inferiore a quella di persona, e finiamo per spendere ancora troppo tempo tra cellulare e computer.

L’età è un fattore determinante nella capacità di digerire carico cognitivo: mentre attenzione e memoria non calano con gli anni, il riuscire a reagire velocemente agli stimoli e prendere decisioni sì. Solo ora ci rendiamo conto che ai bimbi ed agli studenti è meglio togliere il cellulare dalle mani, sia per le ore notturne sia per quelle a scuola, in modo che sviluppino correttamente le funzioni mentali che gli consentono di concentrarsi su un’attività, divederla in passi, ed eseguirla correttamente (executive function, qualcosa che si matura completamente solo sui 30-35 anni).

I primi esperimenti in scuole americane sono un successo clamoroso: gli studenti privati di telefonino a scuola rendono molto meglio degli altri, già dopo un paio di mesi di astinenza. Ne consegue che anche per gli anziani sarebbe utile migrare verso lavori, o organizzazioni del lavoro, meno esposte a stimoli continui. Questo è argomento molto importante: sentiamo parlare di longevità, di tutta una serie di servizi per la terza età, di regimi di vita mirati a continuare uno stile attivo molto a lungo. Servizi ovviamente a pagamento, ragion di più per dimenticarci del concetto di pensione e continuare a lavorare, arrivando a chiedere un permesso ferie per il nostro funerale.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite